Origini della crisi Ucraina. Le responsabilità di Hollande e Merkel

Data di pubblicazione: 
Thursday 28 August 2014
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Per comprendere meglio la vicenda ucraina proponiamo questo articolo di Aldo Giannuli che risale a pochi mesi fa.

Non credo di essere accusabile di preconcetto spirito di schieramento e credo di averlo dimostrato sulla questione venezuelana, dove non ho risparmiato critiche al governo chavista ed espresso molta comprensione verso gli studenti che lo contestano (anche in dissenso conun mio amico e  mio collaboratore). Qui le cose stanno diversamente e, per una volta, premetto una dichiarazione di schieramento all’analisi che cercherò di fare (peraltro mantenendo, per quanto
possibile, l’equilibrio che deve sempre avere chi voglia capire cosa sta accadendo). Ma, quando
ricompaiono i nazisti con le loro atrocità, non è possibile alcuna neutralità e non c’è dubbio sulla parte da scegliere: contro di loro ed a fianco delle vittime.

Detto questo, entriamo nel merito partendo da una constatazione: è in corso in Ucraina una partita strategica mondiale che va molto oltre gli attori che occupano il palcoscenico. Ma prima di affrontare l’esame degli attori mondiali (lo faremo nel prossimo articolo), ci sembra il caso di premettere un esame veloce di come si sia arrivati a questo stato di cose e di che gioco stiano facendo le componenti interne allo schieramento indipendentista ucraino.
L’Ucraina, così come la conosciamo non è mai esistita: non c’è mai stata un’Ucraina indipendente con questa conformazione territoriale e, soprattutto, non c’è mai stata questa distribuzione etnica.
Sia l’una che l’altra cosa sono il prodotto di due secoli di dominazione russa (ed in particolare del mezzo secolo sovietico), che ha comportato lo spostamento di grandi correnti migrative da e nel territorio che oggi chiamiamo Ucraina.

Ancor più: la Crimea non è mai stata Ucraina, fu “regalata” da Kruscev alla maggiore repubblica dell’Urss (dopo quella russa) come parte di un pacchetto di concessioni fatte per isolare e battere la guerriglia indipendentista dei seguaci di Stephan Bandera, che andava avanti da un decennio dopo la fine della guerra e che si era rivelata potenzialmente molto pericolosa in coincidenza con la crisi coreana del 1950-53.
Dunque, l’attuale conformazione si è determinata durante il periodo sovietico, quando si trattava di poco più di un’unità amministrativa, dotata di una sua fittizia autonomia politica utile soprattutto ad ottenere un altro seggio nell’Onu, accanto a quelli dell’Urss e della Bielorussia.
Poi, la dissoluzione dell’Urss trasformò questa unità amministrativa in una entità statuale, perché aprire una discussione sui nuovi confini sarebbe stato impensabile nella situazione di sfascio in cui la Russia versava. Ci si limitò a mantenere le basi in Crimea per la marina russa.

Ma l’Ucraina restò un aggregato disomogeneo di regioni poco amalgamate, con zone prevalentemente russofone, zone propriamente ucrainofone ed un nucleo centrale misto con percentuali variabili da provincia a provincia. C’è da dire che la contrapposizione fra le diverse etnie (lasciando da parte il caso particolarissimo dei tatari di Crimea) è stata amplificata dai media
molto più di quanto non sia in realtà:
in primo luogo perché non esistono solo russofoni e ucrainofoni, ma anche diverse sfumature intermedie; in secondo luogo perché non c’è alcun automatismo fra lingua parlata e rivendicazione dell’indipendenza: non tutti gli ucrainofoni sono indipendentisti e non tutti i russofoni sono ostili all’indipendenza; in terzo luogo, ci sono regioni in cui le diverse etnie sono accettabilmente integrate e reciprocamente tolleranti. E’ vero invece che, nonostante questa diluizione dei conflitti interetnici, un senso di appartenenza nazionale ucraina non è stato costruito in questo ventennio di indipendenza. Non c’è un senso di nazionalità condivisa e questo si è evidenziato più nell’atteggiamento verso la Ue che in quello verso la Russia: che la maggior parte dei russofoni auspichi di ricongiungersi alla “grande madre Russa” è nell’ordine naturale delle cose, ma che una nazionalità, che ha appena riconquistato la sua indipendenza, aspiri, come prima cosa, a confluire in una unione sovranazionale, per rendersi “più uguale” ai vicini di ovest, non è esattamente il modo più efficace per dare risalto alla propria particolarità nazionale.

Dunque, più che di indipendentisti ucraini, ha senso parlare di eurofili che sognano di diventare una nuova Germania o una nuova Francia sol che si compia il miracolo dell’ammissione nella Ue.
E questo acquista maggior peso ove si consideri che le diverse regioni sono poco amalgamate dal punto di vista economico e che ci sono diversi conflitti di interesse sulla distribuzione delle risorse fra esse. Ma, soprattutto è la proiezione economica verso l’ Europa che divide il paese, perché diverse regioni non hanno alcun interesse in questa direzione o, semplicemente, non sono pronte all’impatto.

Tutto questo è anche il prodotto di una classe politica che è peggiore persino di quella italiana.
I vari Kravcuc, Juscenko, Tymoscenko, Yanukovic, che si sono succeduti alla presidenza, sono stati personaggi assolutamente impresentabili, che, invece di costruire un’identità nazionale, hanno
cavalcato le contrapposizioni, inasprendole per quanto potevano, allo scopo di mietere voti e
conquistare un governo che poi non hanno saputo usare. Yanukovich è stato il più ladro e
cialtrone dei governanti di quello sventurato paese: aveva promesso ai russofoni una parificazione
linguistica che si è ben guardato dal realizzare, aveva accettato l’integrazione nella Ue per poi fare
marcia indietro. Non stupisce che sia caduto in disgrazia presso tutti. Anche Mosca non sapeva come fare per liberarsi di lui. Nel frattempo la crisi mondiale rendeva i margini finanziari sempre più stretti ed oggi l’Ucraina è un paese virtualmente fallito, con un debito enorme verso la Russia, dalla quale ha preso molto più gas di quanto potesse pagare, approfittando del passaggio del gasdotto attraverso il suo territorio.

Dunque, che si arrivasse a una mobilitazione di piazza era nell’ordine delle cose e Maidan, all’inizio, ha avuto caratteristiche largamente simili a quelle delle piazze arabe o europee. I fascisti ci sono arrivati subito dopo l’inizio, ma hanno acquisito peso solo dopo che quell’incapace di Yanukovic ha iniziato a giocare al “dittatore cattivo”, scatenando una repressione che non era neppure in grado di reggere a lungo. Poi, dopo la sua caduta e dopo il referendum in Crimea, le cose hanno preso un ritmo incalzante che ha favorito gli orientamenti più oltranzisti: le regioni orientali, in riva al mar Nero, dove le percentuali dei russofoni sono elevate, hanno iniziato a manifestare umori separatisti, ci sono stati scontri sempre più frequenti, cui gli accordi di Ginevra hanno vanamente cercato di porre fine, perché il governo di Kiev, neppure 48 ore dopo, ne ha fatto strame, partendo con una spedizione punitiva contro le regioni orientali che, nel frattempo, organizzavano il referendum di ieri. Il pogrom di Odessa va inserito in questo quadro e dimostra come governo e bande fasciste siano sulla stessa linea: terrorizzare i russofoni e provocare Mosca ad intervenire, nella speranza di un allargamento del conflitto che tiri dentro la Nato.

Personalmente sono convinto che si facciano molte illusioni sulla disponibilità degli europei, ma direi anche degli americani, a combattere per loro. Uno scontro del genere potrebbe avere conseguenze incalcolabili, tirando dentro anche altri e, peraltro, non mi pare che tanto in Europa quanto negli Usa, né lo stato delle casse né l’umore delle popolazioni sia in sintonia con questi
progetti. Quanto, poi, alla voglia di misurarsi militarmente con i russi, mi sembra un desiderio così ardente che penso vada soddisfatto.
In tutto questo, la Ue sta facendo un gioco ignobile al servizio degli Usa, non cercando di porsi come mediatore, ma schierandosi apertamente con una delle parti in conflitto, in nome di principi
inesistenti come quello dell’intangibilità delle frontiere esistenti. Da Merkel e da Hollande non è venuta una parola di condanna per il pogrom di Odessa, il che li rende complici morali di esso. Ed
Hollande è il più spregevole in questa gara a chi è il servo più servo degli americani.
Speriamo che fra due settimane il Ps francese sprofondi sotto il 10% e si disintegri. Poi c’è l’aspetto più delicato che è quello della partita dei grandi sulla testa di ucrainofoni, russofoni ed europei, ma di questo parleremo nel prossimo articolo.
Aldo Giannuli

12 maggio 2014 www.ilchioscodifrancescoimpala.wordpress.com

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