Intervista a Joe Fallisi in sciopero della fame

Data di pubblicazione: 
Sunday 10 January 2010
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Feriti in strada riceviamo e pubblichiamo

di Sara Venturini

Cairo, 08/01/2010

Siamo nella stanza del ‘Sun Hotel’ del Cairo dove Joe Fallisi, tenore italiano e attivista per i diritti umani, sta facendo lo sciopero della fame oramai da 12 giorni in attesa di un lasciapassare delle autorità egiziane per recarsi nella Striscia Di Gaza.

Joe, so che sei stato in ospedale questa mattina per dei controlli, come sono le tue condizioni fisiche ?

Sono un po’ stanco, però va bene. M’avevano proposto di trattenermi fino a domani sera in osservazione, ma ho preferito rientrare in albergo e sentirmi più libero.

Vuoi raccontarmi come è nata l’iniziativa dello sciopero della fame?

Lo sciopero è iniziato subito il 28 dicembre, il giorno in cui ci siamo recati al piazzale dove dovevano esserci i bus per Rafah e lo abbiamo trovato vuoto per ordine e intimidazione del governo egiziano. Alla proposta dell’ottantacinquenne Hedy Epstein di iniziare uno sciopero della fame come azione di protesta verso chi finora ci ha negato la possibilità di entrare a Gaza ed è anche responsabile di tre anni di assedio della Striscia, vale a dire Egitto e Israele, ho aderito subito.

Ad oggi sei rimasto l’unico a continuare lo sciopero. Cosa ti spinge ancora a farlo?

Durante uno degli ultimi incontri della Gaza Freedom March ho annunciato pubblicamente in piazza la mia volontà di terminare lo sciopero solo nel momento in cui avessi toccato il suolo di Gaza o, se questo non fosse avvenuto, sull’aereo di ritorno. È una promessa che manterrò.

Quali sono le motivazioni alla base di questa tua coraggiosa  scelta?  Scioperi per chi e per cosa?

Protestare per  Gaza credo sia particolarmente importante perché la situazione che vive da troppo tempo la Palestina Occupata e in particolare la popolazione lungo la Striscia è il punto focale di tutte le ingiustizie del mondo. E attorno ad essa ruota il destino del mondo. Quel che ha subito Gaza nei 22 giorni di attacchi unilaterali  e assassini dell’entità sionista (durante i quali, lo ricordo, è stato massacrato un millesimo della popolazione complessiva – l’equivalente, in Italia: 60.000 individui) e quel che subirà a causa della decisione egiziana di costruire il muro di ferro per impedire il passaggio di merci, beni e persone sono gli ultimi atti di un’infamia che oggi non ha eguali.

Dietro ciò che accade a Gaza ci sono la menzogna, l’iniquità e l’orrore umani. Menzogna radicale, perché il mondo finge che si tratti di una situazione di quasi normalità mentre invece non lo è nel modo più assoluto. Da una parte c’è un esercito che con mezzi militari ultramoderni e micidiali opera la decimazione progressiva degli assediati, dall’altra una popolazione che cerca solo di sopravvivere e di difendersi, senza averne mezzi.

Tale situazione assomiglia sempre più a quel che i tiranni bolscevico- stalinisti e nazisti hanno inflitto gli uni all’Ucraina e al Kuban, quando furono sterminati per fame coatta milioni di contadini, o quando venne assediata Varsavia dagli altri. In entrambi i casi ci fu  uno strangolamento che impedì qualunque possibilità di fuga, anche allo scopo di affamare a morte e sfinire la popolazione. Così come avviene oggi a Gaza, con l’aggravante di attacchi militari bio-ecocidi del tipo di quello dell’anno scorso e dei prossimi in preparazione.

L’assedio di Gaza si fa ogni giorno più terribile. Gli abitanti della Striscia non possono neppure coltivare né pescare perché ogni giorno vengono attaccati.

E c’è persino qualcosa di molto peggio degli esempi storici prima citati. Qui l’esercito dell’occupante sionista utilizza, come ormai è divenuto usuale, armi che vanno a compromettere le fonti stesse della vita (la terra, l’aria, l’acqua), in particolare, ma non solo, attraverso l’uso criminale dell’uranio impoverito. Così che iniziano a nascere bambini deformi. Inquinano alla radice e per centinaia e centinaia di anni, se non per sempre, l’intero ciclo vitale e riproduttivo. Questo è il più grande crimine di guerra: da Hiroshima e Nagasaki, al Vietnam, ai Balcani, al Libano, alla Palestina, all’Iraq, all’Afghanistan, al Pakistan. Mai prima l’umanità aveva subito atti tirannici di questa portata.

Quando calarono i Mongoli fin dentro all’Europa fecero tabula rasa. Ma quando se ne andarono la vita ritornò. Oggi i nuovi barbari “progressisti” lasciano dietro di sé la morte radioattiva.

Oltre al bisogno di giustizia per palestinesi, ci sono altre ragioni, personali, che ti legano ai destini del popolo di Gaza?

Ho raggiunto Gaza due volte, unico cantante lirico al mondo ad aver avuto la possibilità, il piacere e l’onore di cantare al Teatro Shawa di Gaza city. Di questo potete trovare testimonianza nei video su youtube dei miei due concerti. La prima visita risale all’ottobre 2008. Arrivai a Gaza via mare su ‘Dignity’, col secondo viaggio, vittorioso, di Free Gaza. La volta successiva fu lo scorso marzo quando entrai dal valico di Rafah con il convoglio Lifeline promosso da George Galloway. Sono stato accolto in maniera meravigliosa, come un fratello, e ora i Gazawi sono i miei fratelli. Farò tutto quel che mi è possibile per aiutarli.

Alla luce della dura repressione del governo egiziano contro gli attivisti della Gaza Freedom March ai quali non è stato permesso di entrare a Gaza, cosa pensi di tale governo?

L’asse del potere dell’Occidente e del Nord del mondo predone consiste nella triade USA, Gran Bretagna ed entità-Lobby sionista. Sono loro che decidono gli assetti mondiali. Decidono chi e cosa è ‘politically correct’ oppure no, chi può rimanere (al potere) e chi se ne deve andare.

Mubarak è solo un servo di questo potere più ampio. Le sue azioni sono finalizzate ad ottenere la garanzia della propria sopravvivenza. La decisione di costruire un muro, sopra e sotto terra, al confine di Rafah, distruggendo i tunnel che consentono agli abitanti di Gaza di sopravvivere,  è in vista delle prossime elezioni presidenziali.

Con la visita di Netanayahu al Cairo proprio il giorno seguente alla nostra ipotetica partenza, e in contemporanea con una marcia di pacifisti israeliani contro l’occupazione, consentire l’accesso a Gaza dei 1.300 internazionali avrebbe significato una svolta, di cui non esiste nessuna premessa, all’interno del regime egiziano. Nutrivamo false speranze.

Quando hai deciso di partecipare alla marcia credevi che questa iniziativa di solidarietà internazionale avrebbe apportato un qualche cambiamento alla situazione in cui sono costretti gli abitanti di Gaza?

Gaza ha bisogno di riaprirsi da tutti i lati al mondo esterno, come è stato per secoli. Noi internazionali possiamo rappresentare uno stimolo affinché questo assedio venga rotto.

Sono partito augurandomi di poter rientrare nella Striscia, portare degli aiuti e tenere un terzo concerto. Più i giorni passavano, più mi rendevo conto che la nostra speranza era un’illusione.

Faccio appello alle donne e agli uomini di buona volontà. Si deve insorgere dal basso. Il Free Gaza Movement, così come Viva Palestina, sono l’esempio di iniziative giuste, coraggiose e fantasiose che vengono dalla base della società civile. Bisogna attivarsi in prima persona per la causa universale dell’equità, unire le proprie forze e organizzare iniziative di solidarietà vera al di fuori di ogni imbrigliamento istituzionale. È il  buon vecchio metodo anarchico che deve tornare attivo. Non occorrono ‘leaders’, servono uomini e donne con senso della giustizia e della dignità.

So che hai tentato la via per Al Arish, la città egiziana più vicina al confine con Gaza. Cos’è successo quel giorno?

Ho cercato, assieme ad altri tre italiani, di raggiungere il confine di Rafah, passando per Al Arish. Siamo stati respinti al primo posto di blocco a 100 km dal Cairo. Lì abbiamo visto quello che definisco la società civile all’opera: vecchiette americane magnifiche che, appena fatte scendere dal pullman, hanno sventolato in faccia alla polizia striscioni con su scritto ‘Free Gaza, Free Palestine’. Queste signore hanno deciso di vivere l’ultima parte della loro vita in modo dignitoso. Sono mie compagne.

Qual è la tua posizione in merito alla delegazione dei 100 organizzata dai Codepink con l’autorizzazione del governo egiziano entrata a Gaza per portare gli aiuti umanitari?

Gli organizzatori hanno accettato, poi pentendosene, un compromesso con il governo egiziano mandando  nella Striscia un piccolo drappello di attivisti, scelti dall’alto con criteri arbitrari. In realtà la delegazione dei 100, che alla fine erano 40 perché la maggior parte si è rifiutata di partire, è stata solo un contentino che Mubarak ha usato per cercare di farsi bello. Ma le frontiere sono rimaste e rimangono sostanzialmente chiuse. È stato un nostro errore. Hedy Epstein ha scritto un comunicato puntuale e preciso a questo proposito.

Stai per lasciare il Cairo senza essere entrato a Gaza. Cosa ti porti con te in Italia dopo questa esperienza?

L’unica cosa veramente positiva è che nel mondo si è parlato del vergognoso regime di polizia egiziano e della tragica situazione in cui versa la Striscia di Gaza. E forse in questi giorni di incontri e di scambi si sono poste anche le basi di un movimento che sappia agire meglio in futuro.

Tanto di cappello a George Galloway e i suoi valorosi compagni del convoglio di Viva Palestina: fino all’ultimo hanno lottato per entrare, subendo scontri, manganellate e arresti, dopo un incredibile viaggio via terra, via mare e via cielo attraverso l’Europa e il Medio Oriente. E ci sono riusciti.

Ho visto in questi giorni all’opera, all’interno della Marcia, tanti meccanismi tipici dei gruppuscoli. Gente che si parla e rimira allo specchio. Autoreferenziale.  La vecchia politica è morta e non serve alla causa della giustizia. Me ne tornerò in Italia rinforzato nella mia convinzione che bisogna voltare definitivamente pagina.

Ho scritto finora cinque canzoni per  Gaza e per la Palestina , una, ‘Verrà’, è già incisa. Appena torno registrerò anche le altre: ‘Gaza vivrà’, ‘Lifeline’, ‘Oh Madre Palestina’, ‘Fino all’ultimo giorno-respiro’.

Il ritornello di quest’ultima dice: “son pochi gli anni da vivere che noi abbiam. Difenderò i miei fratelli fino all’ultimo giorno-respiro che il ciel mi darà”.