La condanna del silenzio

Data di pubblicazione: 
Tuesday 30 September 2008

Il lavoro uccidedi Vincenzo Andraus

Ogni giorno che passa è scandito dalla notizia di un nuovo morto, quando va bene un ferito raccolto sbrigativamente per non creare ulteriori disagi. E’ un bollettino di guerra in piena regola, neppure sotto guerra di mafia, di camorra, di Sparta e di Troia, c’è stata così terrificante la somma di vite umane andate in frantumi.

Un clichè sbalorditivo per la monotonia ripetitiva con cui si sottolineano sempre identiche le cause, riconducibili ai soliti ultimi anelli deboli della catena produttiva, eterno maledetto l’accidente inevitabile.
Uno, due, tre morti al giorno, in fabbrica, in cantiere, sulla strada, per ogni posto di lavoro rimasto sguarnito, eccone subito un altro da conquistare, rimesso in gioco per il miglior offerente, quello che arrampica veloce, che produce e tace, senza bisogno di funi salva vita, di perdite di tempo che non possono essere conteggiate, di eccessivi e improbabili ripensamenti.

Un morto, uno sull’altro, tutti uguali, senza nome né storia vissuta, ma con la stessa imperturbabile insignificanza, morti sul lavoro che non costituiscono allarme sociale. Sono morti che non hanno  più odore, neppure quello dell’inaccettabilità. Il silenzio che avvolge questa ecatombe è inspiegabile, eppure ogni indicatore di cui disponiamo, ogni statistica divenuta dato esponenziale, ogni verifica e indagine segnalano una impennata dei pericoli che investono i lavoratori, al punto da essere diventati potenziali vittime predestinate.

Inutile domandarsi ancora e con colpevole ritardo quanto numerosi siano i fattori che concorrono alla prosecuzione di questa strage, soprattutto l’indifferenza per rendere meno infame il diritto di tutela della propria dignità personale, per ogni cittadino lavoratore, che intende essere sempre presente per arrivare a fine mese, tentando di riuscirci in maniera decorosa.

Ogni anno migliaia di morti, accompagnati alla fossa con tutte le risposte ben cucite sulla pelle, eppure questa immane ingiustizia non genera sentimenti di rigetto, di rifiuto, di rivalsa, il popolo bisbiglia, lo Stato sottolinea la tragedia con malcelata impotenza, le istituzioni puntano i piedi attraverso  l’esibizione di qualche  bel concerto.

Le  litanie prendono le sembianze delle campagne politiche e mediatiche, ma l’effetto che si ottiene è la condanna al silenzio e all’immobilismo.

E’ davvero incredibile come una deflagrazione umanitaria di questa portata, non moltiplichi a dismisura lo sgomento, non renda la necessarietà di giustizia un vero e proprio ariete, da attenzionare più ancora  del bisogno di sicurezza sociale invocato a ogni piè sospinto.
Forse non sappiamo più distinguere “ onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero”.