Massacro in Egitto

Data di pubblicazione: 
Thursday 15 August 2013
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Il precipitare della situazione in Egitto obbliga tutte le persone di buona volontà alla riflessione ed alla denuncia aperta. Per questo Alternativ@Mente pubblica il seguente articolo che ci sembra illuminante anche se, forse, per certi versi,  persino troppo equilibrato. Enrico Del Vescovo.

di Alfonso Gianni

Come già nel caso della Siria - ci fermiamo qui senza retrocedere oltre per carità di patria - il mondo osserva attonito e impotente i nuovi massacri in atto in Egitto. Diversi cercano di fornire interpretazioni che servano da guida per eventuali atteggiamenti e comportamenti. Ma francamente nessuna di queste interpretazioni appare completamente convincente.

Se ci si limitasse ad interpretare i fatti egiziani alla luce degli interessi in conflitto fra le grandi potenze, si coglierebbe certamente una parte di verità, ma temo troppo semplificata e manichea per risultare utile. Se si guardasse a quanto sta accadendo al Cairo, ad Alessandria, a Suez con la chiave interpretativa della questione arabo-israelo-palestinese, sicuramente si cadrebbe nel vero, ma anche qui in modo parziale. Se la si buttasse tutta sul conflitto fra islamismo e laicità, si dimenticherebbe che non tutto l'Islam è uguale e che da quelle parti in nome della laicità si è spesso trascurato di rispettare gli esiti elettorali nella speranza che dittature illuminate portassero quei paesi fuori dalla miseria o da guerre civili più o meno striscianti. Ma è successo il contrario.

Allo stesso modo, se si dimenticasse che un'irruzione nei luoghi del potere dell'esercito è sempre e comunque un colpo di stato, e così andrebbe chiamato, si farebbe torto alla verità e all'intelligenza.

Allo stesso tempo è vero che persino i colpi di stato non sono tutti uguali e che da essi non discende necessariamente la soppressione fisica in massa di coloro che vi si oppongono. Invece è quanto sta succedendo. Con il risultato che anche le leve della più tradizionale solidarietà internazionale restano paralizzate. Ma bisognerebbe scuotersi, perché nessuna disquisizione può accettare che intanto avvenga un dilagante bagno di sangue. Almeno questo avremmo dovuto impararlo.

Se si guarda alla successione dei fatti, si vede che la volontà popolare in Egitto è stata ingannata e repressa almeno due volte e da agenti diversi. Nel primo caso piazza Tahrir ha prodotto la caduta di Mubarak e la convocazione di elezioni che hanno determinato la vittoria dei Fratelli Musulmani.

Un fatto storico per l'Egitto, visto che lì sono nati e lì venne impiccato da Nasser il loro fondatore. Ma il loro governo ha rapidamente curvato verso direzioni confessionali e antilibertarie. Piazza Tahrir è stata animata una seconda volta dal movimento Tamarrod, che aveva saputo sensibilizzare milioni di persone, in nome di una libertà democratica e laica.

Il colpo di stato ha evitato che la contesa si tramutasse in una guerra civile aperta, ma il comportamento immediatamente successivo dell'esercito ha scatenato una repressione sanguinosa nei confronti dei Fratelli Musulmani e dei loro sostenitori.

Ora i meglio informati dicono che coloro che diedero vita al movimento Tamarrod sono alla ricerca disperata di una terza via e tentano, ma per ora inutilmente, di impedire il gigantesco bagno di sangue. È prevedibile che da soli non ce la faranno.

Bisogna che l'Europa - se esistesse come soggetto politico - e i singoli paesi che ne fanno parte, fra cui il nostro - per quanto bassa sia la sua credibilità internazionale, come dimostrato dall'affaire kazaco - facciano sentire la loro voce. Che non può non dire preliminarmente una cosa sola: fermare il massacro, ristabilire le più elementari garanzie per tentare, prima che sia troppo tardi, una riconciliazione sulla base di un processo che porti a elezioni dalle quali nessuna parte può trarre spunto per curvature antidemocratiche e integraliste.

Tanto l'Europa, quanto gli Usa avrebbero strumenti convincenti e non invasivi per mettere i bastoni tra le ruote ai brutali meccanismi in atto. Gli Usa sostengono finanziariamente l'esercito egiziano, dovrebbero smettere di farlo se esso non cessasse di essere strumento di morte. Non era questo che Obama aveva promesso nel suo storico discorso all'Università del Cairo.

Non è un processo semplice. Lo so. Ma intanto le forze democratiche europee questo potrebbero chiedere alla Ue, agli Usa, agli attuali governanti egiziani. Anche con mobilitazioni davanti ai luoghi delle rappresentanze diplomatiche. Portando quindi un proprio modesto contributo, che è sempre meglio che stare a guardare.

Non basta, lo so. È un percorso difficile, perché non può essere fatto in nome del popolo egiziano ma dal popolo egiziano.